Enciclopedia delle armi - a cura di Edoardo Mori
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TAR LOMBARDIA 3 aprile 2019 - no a dinieghi per vecchie condanne

N. 01089/2019 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1495 del 2016, proposto da Roberto ***, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Beatrice Zammit e Costanza Calleri, con domicilio in Milano, alla via Durini, 5;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Milano, domiciliataria ex lege in Milano, alla via Freguglia, 1;
per l'annullamento
del decreto del Questore di Milano del 23 maggio 2016 di diniego di rilascio della licenza di porto di fucile per uso tiro a volo.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.  Con il provvedimento impugnato il Questore di Milano rigettava la richiesta di rinnovo del porto di fucile uso tiro a volo presentata dal sig. *** in data 9 novembre 2015, in ragione della sentenza di condanna a mesi 10 di reclusione, emanata a carico di esso ricorrente dal Tribunale di Brescia in data 13 maggio 1999 per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti.
1.1.  Avverso tale provvedimento insorgeva il sig. *** a motivi del gravame essenzialmente deducendo:
-  violazione e falsa applicazione artt. 11 e 43 tulps — eccesso di potere per falsità dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione, per non avere la Amministrazione congruamente motivato la valutazione di inaffidabilità nei confronti del ricorrente, tenuto conto che gli episodi posti a fondamento della condanna penale richiamata nel gravato diniego costituirebbero fatti “risalenti a ben 17 anni orsono”, rappresenterebbero “un unico ed occasionale episodio, mai più ripetuto”, e sarebbero in ogni caso “neutralizzati” dalla riabilitazione intervenuta nel 2014;
-  violazione artt. 3 e 10-bis l. 241/90 — eccesso di potere per motivazione perplessa ed apparente, erroneità dei presupposti, travisamento, carenza di istruttoria, ingiustizia e sproporzionalità manifesta, per avere la Autorità provveduto alla adozione del gravato diniego senza tenere conto dei “circostanziati rilievi svolti dal ricorrente nelle osservazioni" presentate a seguito del cd. “preavviso di rigetto”, in tal guisa disvelandosi altresì un difetto di istruttoria.
2.  Il ricorso è fondato.
2.1.  Illegittimo, invero, si appalesa l’operato della Amministrazione, atteso che:
-  è ben vero che il diniego, ovvero la revoca del porto d’armi, nonché il divieto di detenzione delle stesse, costituiscono esplicazione di potestà connotata da ampi margini di discrezionalità (solo da ultimo, CdS, III, 9 agosto 2018, n. 4887);
-  è altresi pacifico che si è formata una ormai consolidata giurisprudenza (CdS, III, 3502/18) con riguardo alla detenzione e al porto di armi, secondo cui tali situazioni costituiscono “delle eccezioni al generale divieto di cui art. 699 c.p. e all’art. 4 comma 1, l. 18 aprile 1975 n. 110. Da tanto deriva che l’Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto nell’uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità; ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del T.U.L.P.S., il compito che esercita l’Autorità non è di tipo sanzionatolo, né tantomeno punitivo, ma di natura cautelare, consistente nel prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della incolumità privata e pubblica. Pertanto, ai fini della revoca dell’autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni, non è necessario che sia stato accertato un determinato abuso delle armi da parte del soggetto istante, ma è sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come questi non sia del tutto affidabile al loro uso; ne consegue che, stante l’ampia discrezionalità dei provvedimenti inibitori, non è neppure necessario un particolare onere motivazionale, bastando piuttosto che nei provvedimenti siano presenti elementi idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate dall’Autorità non siano irrazionali o arbitrarie” (CdS, I, 11 aprile 2018, n. 943; CdS, III, 17 maggio 2018, n. 2974);
-  tuttavia, non può non rimarcarsi come nella fattispecie de qua agitur la effettiva natura delle condotte poste in essere dal ricorrente, le risalenti circostanze di tempo e di fatto in cui esse si collocano (oltre tre lustri prima del gravato diniego, allorquando il ricorrente era assai giovane), sono ex se inidonee ad ingenerare serie perplessità sulla affidabilità di esso ricorrente in ordine ad un accorto ed appropriato uso delle armi; rendendo, in tal guisa, non congruamente motivato e privo dei suoi indefettibili presupposti fattuali il giudizio di inaffidabilità su cui riposa il gravato diniego;
-  si verte, invero, in tema di condanna penale che non assume valenza irrimediabilmente ostativa a’ sensi dell’art. 43, comma 1 TULPS, e che può giustificare il diniego impugnato solo allorquando la Autorità dia adeguata
contezza della esistenza di elementi e circostanze, connotanti il complessivo contegno dell’interessato, tali da porne in dubbio la affidabilità e la buona condotta;
-  i fatti contestati sono assai risalenti e nel corso degli anni successivi, id est dal 1999 al 2016, non v’è stato nessun altro evento suscettibile di essere negativamente valutato dalla intimata Autorità ai fini che ci occupano;
-  di più, in data 7 luglio 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha dichiarato la riabilitazione del ricorrente in relazione alla citata sentenza di condanna del 16.4.1999;
-  la condotta successiva del ricorrente, indi, è rimasta esente da ulteriori mende, ciò che è stato ben valorizzato dalla Autorità giudiziaria, ma non dalla intimata Autorità nel corpo del provvedimento oggetto di scrutinio;
-  anche la collocazione temporale dei fatti de quibus, ed il successivo contegno dell’interessato, depongono, indi, per la carenza di “attualità e concretezza” del giudizio prognostico di inaffidabilità su cui fonda il provvedimento gravato;
-  la stessa motivazione del diniego —in quanto genericamente riferita al disvalore connesso all'astratto titolo di reato ascritto al ricorrente- non è idonea a disvelare un effettivo apprezzamento da parte della Autorità delle concrete modalità connotanti la condotta posta in essere da esso ricorrente, né tampoco una valutazione complessiva della personalità dell’interessato alla luce del comportamento tenuto successivamente alla sentenza di condanna;
-  la mancanza di tale indefettibile apparato motivazionale assume vieppiù pregnanza proprio nel caso di condanna che non riveste efficacia ex se preclusiva ai sensi dell’art. 43, comma 1, TULPS, come ha luogo nel caso di specie, in cui, a ben vedere, la assenza di motivazione finirebbe per rendere di per sé “ostative” situazioni che tali non sono state considerate dal legislatore.
2.2.  La azione procedimentale oggetto di scrutinio si è, d’altra parte, dispiegata a notevole distanza di tempo (2016) rispetto ai fatti ascritti nella sentenza di condanna: di qui la carenza di attualità degli asseriti indici di pericolosità rivenienti dal contegno del ricorrente, tenuto altresì conto delle di per sé dirimenti circostanze per cui:
-  nel provvedimento impugnato non si fa riferimento a nuovi e più recenti episodi in grado di disvelare o lumeggiare una “rinnovata” inaffidabilità del ricorrente;
-  la “buona condotta” tenuta dal ricorrente negli anni successivi ha giustificato il successivo provvedimento di riabilitazione del 2014.
2.3.  Va quivi rammentato che non tutti i fatti penalmente rilevanti possono essere ugualmente significativi ai fini che ci occupano, con la conseguenza che qualora risultino reati commessi proprio mediante l’uso (o l’abuso) delle armi, l’inaffidabilità del soggetto emerge ictu oculi, sicché i provvedimenti negativi (o inibitori) non abbisognano, in genere, di altra motivazione, mentre quanto più ci si allontana da detta ipotesi, tanto più esauriente dovrà essere la motivazione con la quale si dia conto delle ragioni per cui un determinato fatto illecito sia stato ritenuto significativo, essendo a fortiori, in tali casi, necessario che il provvedimento con cui viene disposto il diniego sia fondato su una valutazione del comportamento complessivo del soggetto interessato (TAR Campania, V, 06/07/2016, n. 3423).
Ciò che, nel caso di specie e alla luce di tutto quanto sopra esposto, non è dato rinvenire nel gravato decreto di rigetto, dovendosi conclusivamente accogliere il presente ricorso.
3.  Infine, sussistono giuste ragioni per procedere alla compensazione delle spese di lite.
P.Q.M
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata,
manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2019 con l'intervento dei signori magistrati:
Mauro Gatti, Presidente Fabrizio Fornataro, Consigliere Rocco Vampa, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE Rocco Vampa             IL PRESIDENTE Mauro Gatti

NOTA: Chiara e corretta sentenza in cui si ribadisce che la PS non può negare licenze in modo meccanico ed automatico, in base a dati formali del passato, ma è tenuat a valutare la concretamente il richiedente, tenendo conto della sua condotta dal fatto al moment della domanda e di eventuali riabilitazioni o di estinzione dei reati.

(17-5-2019)

 

 


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